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La teoria dei complessi di Jung

La teoria dei complessi di Jung
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Foto di Alexandra Haynak da Pixabay

La teoria dei complessi

Per Jung i complessi a tonalità affettiva (la teoria dei complessi) si riferiscono a tutte quelle situazioni ove c’è un eccesso di energia psichica, una sorta di affettività un po’ esagerata rispetto al contesto.

Quindi, un ‘complesso’ comprende una serie di rappresentazioni, ricordi e pensieri parzialmente coscienti ma con una forte carica affettiva.

Questa carica eccessiva, limita la liberta dell’IO. Parafrasando uno schema astrofisico potremmo dire che il complesso potrebbe essere paragonato ad un buco nero e sappiamo tutti che il buco nero assorbe tutta l’energia.

La teoria dei complessi e le neuroscienze

Sono noti a tutti gli studi di Paul MacLean in merito alla teoria dei tre cervelli. Secondo il ricercatore avremmo tre cervelli: il rettiliano, il limbico ed emotivo e la neocorteccia.

In modo più approfondito, MacLean, paragona i due aspetti (quello emotivo e quello razionale) come quello tra cavallo e cavaliere.

Finche va tutto bene, il cavaliere sente di poter gestire il suo cavallo senza problemi ma, in caso di rumori forti o minacce da altri animali (ad esempio un cavallo che scalcia, oppure una lepre che esce improvvisamente dal bosco, … e chi va a cavallo lo sa benissimo), il cavallo si imbizzarrisce e il cavaliere dovrà faticare per restare in sella.

Il sistema limbico ovvero il sistema emotivo

Quindi ogni qualvolta che il sistema limbico (cavallo) si sente in pericolo, le comunicazioni tra i vari sistemi si indeboliscono a favore del ‘cavallo’. Dal punto di vista neurologico il nostro cavallo si chiama amigdala.

Quando questa struttura rileva il pericolo, vengono rilasciati ormoni che, una volta in circolo, provocano reazioni del tipo attacco o fuga, ma anche (ben più grave) reazioni del tipo di totale incapacità di esprimere qualsiasi tipo di reazione (congelamento).

La via breve – cervello emotivo

Questo percorso viene chiamata ‘via breve’ perché tra la sensazione del pericolo e la reazione, non viene coinvolta la corteccia (in grado di una elaborazione più complessa). Quindi tra gli stimoli c’è sola l’amigdala e nessuna elaborazione superiore (che attinge ai ricordi, logica, ragione, esperienze, …) viene attivata e la reazione è automatica (inconscia), raramente cosciente.

La paura e lo spavento

Abbiamo paura quando ci troviamo di fronte ad un pericolo noto (strutture corticali), ci spaventiamo nei confronti di qualcosa di inatteso (amigdala).

Ci innamoriamo (amigdala), decidiamo di rompere (corteccia).

Pensiero (corteccia)e sentimento, emozioni (amigdala e cervello limbico)..

Predominanza del cervello emotivo (amigdala)

Secondo gli studiosi, esistono input sensoriali (ricordi, emozioni, odori, …) che stimolano l’amigdala e ci fanno rivivere (immediatamente) emozioni quali la rabbia, la paura, l’ansia, ma anche sentimenti piacevoli, evocativi, deja-vu, …) che non raggiungono la corteccia.

Ecco quindi che in questi casi, il cervello limbico (cavallo) prende il comando e risponde in modo automatico, come abbiamo visto sopra.

Degno di nota il fatto che il sistema limbico è in gradi di influenzare quello corticale mentre non accade il contrario.

Quindi, potremmo dire che i pensieri (corteccia) attivano facilmente le emozioni (pensare alla propria amata), mentre con maggiore difficoltà riusciamo a interromperli (provate a chiederlo ad una persona ansiosa di smetterla di esserlo).

I complessi a tonalità affettiva

I complessi a tonalità affettiva di Jung caratterizzati da un ‘eccesso di energia psichica’, affettività esagerata (il cavallo imbizzarrito), possano essere paragonati ad una reazione autonoma, così come abbiamo visto sopra.

In questi casi potremmo dire che la reazione del soggetto possa essere il frutto di un pericolo interiorizzato (magari in un’età in cui tale pericolo è stato sovrastimato, se non addirittura il frutto di un errore cognitivo).

Gli studi di Jung del 1905 confermerebbero quelli fatti dai neuro scienziati in merito alla ‘via breve’, ma dal punto di vista clinico, psicologico.

La teoria dei complessi e il trauma

Tutti sanno che i traumi lasciano un ricordo indelebile, e ci riferiamo generalmente ai grandi traumi (terremoto, guerra, incidente, lutto, …). Ampliando il tema, dobbiamo tener presente che esistono anche i micro-traumi che anch’essi lasciano dei segni indelebili ma che raramente raggiungono la soglia della coscienza.

I micro-traumi

Parlando quindi dei traumi meno riconoscibili, che potremmo chiamare microtraumi ma che si perpetrano per un lungo periodo di tempo (pensiamo ad esempio alle relazioni di attaccamento strumentali di un genitore abusante, o di tutte quelle relazioni ove si viene usati per soddisfare altrui bisogni.

Oppure altri abusi, tipo quello di molti bambini che vengono bullizzati (dai più grandi, perché portatori di handicap, perché timidi, perché ritenuti sfigati, …).

Situazioni di stress

Ebbene, anche questi situazioni possono creare situazioni di stress che bypassano l’elaborazione della corteccia cerebrale, ma vengono ‘evasi’ direttamente dall’amigdala; detto in termini psicologici, queste situazioni o quelle che da adulti vengono vissute come simili, molto presumibilmente verranno gestite nel modo automatico (cavallo imbizzarrito) di cui abbiamo discusso sopra, ovvero sempre attraverso la via breve.

Quindi, attenzione ai discorsi sul trauma dal momento che abbiamo dimostrato che non esistono solo ‘grandi traumi‘ ma anche quelli piccolini, apparentemente insignificanti, legati al contesto del singolo.

In casi del genere, nella dinamica clinica, notiamo un comportamento ed una emotività non giustificati dal contesto che sono ovviamente oggetto di analisi.

In tutti questi casi ci troviamo in una situazione in cui il soggetto è dominato da un complesso che oltre ad essere autonomo tende anche ad essere compulsivo (sempre attraverso la via breve, ovvero non sottoposta all’attenzione delle strutture corticali).

La teoria dei complessi – risvolti psicologici

Jung sosteneva che le persone nevrotiche, indipendentemente dal loro vissuto, si rifiutavano o non erano in grado di sopportare l’hic et nunc (il qui e ora) di un dolore reale e legittimo. Quindi, questo ‘dolore’, oppure la sua rappresentazione, frantuma la precedente integrità dell’Io.

Tale scissione fa parte della vita normale di ogni essere umano dal momento che la totalità è fatta per scindersi, ma ciò diventa patologica e quindi malata, solo quando questa scissione è esageratamente ampia e il conflitto diviene intenso e non gestibile.

Ecco quindi che si prospetta all’orizzonte una nevrosi e nei casi più estremi anche una possibile psicosi.

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