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La guarigione attraverso la psicologia narrativa

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La guarigione attraverso la psicologia narrativa: ricostruire una narrazione creativa della vita

“E’ questo che facciamo noi narratori: ristabiliamo l’ordine con l’immaginazione, infondiamo speranza senza sosta” (Walt Disney nel film Saving Mr Banks).

Ho iniziato questo articolo con questo incipit per aprire una finestra riflessiva sul tema della psicologia narrativa come efficace procedura terapeutica e per riflettere sul parallelismo tra terapeuta e narratore.

Polster infatti nel suo libro, “Ogni vita merita un romanzo”, parla continuamente del terapeuta come narratore di storie: romanziere e terapeuta sanno che il fascino è un ingrediente importante per mantenere alta l’attenzione, per stimolare la fantasia e riorganizzare gli approcci agli eventi.

La terapia dunque viene vista come un racconto, come un’opera d’arte, infatti Erving Polster parla del terapeuta come un romanziere:

“il romanziere ed il terapeuta ci invitano a sfogliare le pagine della nostra vita al fine di scoprirne le meraviglie”,

difatti solo se il clinico veste anche questa seconda identità nel suo lavoro, può scoprire nell’esistenza del proprio paziente l’esistenza di un romanzo in cui innestare soluzioni creative che permettano il superamento delle problematiche.

Polster come Hillman crede che la psicoterapia sia un processo estetico-artistico, infatti, secondo questa visione, il terapeuta deve utilizzare la stessa logica costruttiva e selettiva dello scrittore quando vuol dar vita ad una storia che possa portare il paziente a “riscrivere” la sua biografia.

la ricerca dell’identità attraverso la narrazione

La narrazione dunque diventa per il paziente una possibile via attraverso cui dar forma alla propria identità.

Sono le storie che le persone raccontano e si raccontano della propria vita a determinare il significato che loro stesse attribuiscono alle esperienze vissute.

Le esperienze che l’Io compie danno forma all’identità: narrarle dà loro un senso, le inserisce in un contesto, in un tempo e quindi in una storia già esistente, narrare rappresenta un’operazione di consapevolezza in quanto equivale a costruire una propria visione di se stessi e del mondo.

Riscrivere della propria esistenza e delle relative relazioni, esternare attraverso la narratologia le proprie emozioni, mette nelle condizioni d’inventare e creare un’infinità di trame.

Queste trame derivano dal rapporto tra le differenti storie: quella del paziente, quella che ascolta il terapeuta dal paziente stesso e la terza che si sviluppa nel percorso terapeutico, raccontarsi dunque diventa un gioco piacevole che porta la persona all’interno del proprio cuore.

Il paziente racconta la sua realtà narrativa e lavora su di essa con il terapeuta e questo processo dà vita ad un nuovo racconto che nel momento in cui viene condiviso ha lo scopo d’incoraggiare la persona ad assumersi la responsabilità, spronandola ad intraprendere nuove strade e ad aprire un copione di vita caratterizzato da modalità non più ripetitive ma piene di varianti e possibilità.

Il terapeuta deve infatti aiutare il paziente a togliere la parola fine e a riaprire il finale e questo è appunto quello che s’intende per narrazione creativa.

Sempre secondo quest’approccio questa specifica modalità terapeutica ha lo scopo di stimolare riflessioni sul tema della psicologia narrativa come valido supporto terapeutico.

Infatti Hillman afferma:

“Il motivo per cui nella nostra epoca si va in analisi non è per essere amati, curati o per il conosci te stesso ma per ricevere una storia clinica!”,

cioè si parla di una psicologia narrativa determinata dal rinnovato interesse per l’uso ed il significato delle storie in terapia e più in generale della loro importanza nella costruzione del sé dell’ individuo.

Secondo questa specifica chiave di lettura  la patologia viene vista come una particolare struttura narrativa e la terapia come un’azione su di essa.

Questo approccio che si può definire psicologia narrativa, permette di “sfidare la solita vecchia storia” incapsulata nelle memorie autobiografiche del paziente perché crea la possibilità di riscrivere una nuova storia che  apre nuove possibilità di speranza.

Per accrescere nel paziente la speranza e approcciarsi positivamente all’esistenza è necessario provare l’ironia, il senso dell’ umorismo, la curiosità, interessi nuovi, desiderio d’ avventura ma tutti questi ingredienti sussistono solo se non si rimane imbrigliati nella sofferenza, infatti Polster afferma:

“Sia il romanziere che il terapeuta debbono ridurre la sofferenza ad un livello accettabile, così che il lettore o il paziente possa sentirsi a proprio agio”.

Secondo questa proposta terapeutica, lo psicoterapeuta, come un bravo scrittore, deve aiutare chi va in terapia a trovare nella storia della sua vita degli elementi di opportunità, novità, significatività e coinvolgimento emotivo che rendano vivibile e bella la sua esistenza.

In definitiva, una storia che cura non è un racconto casuale né una semplice storia bensì un racconto costruito deliberatamente per raggiungere uno specifico scopo terapeutico.

Attraverso lo storytelling infatti, è possibile cambiare il sentimento intimo di una persona agendo sui racconti che la circondano o su delle storie che vengono narrate, agendo su ciò che si dice e sulla maniera in cui viene detto, infatti narrare significa ridefinire la propria identità.

 In definitiva, il motivo per cui l’essere umano ha necessità di raccontare e raccontarsi nasce sia dall’urgenza di ritrovare un’immagine di sé e sia dal bisogno di trovare il significato della propria presenza e senso nel mondo.

A cura della d.ssa Donatella Costanzo

 

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