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Diagnosi in psicoterapia

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Cos’è una diagnosi psicologica

Il termine, dia-gnosis, “conoscere attraverso”, di derivazione latina (diagnōsis, dal greco διάγνωσις (diágnōsis) ma anche da διαγιγνώσκειν – diaghignóskein, capire), formato da διά (diá, attraverso) + γιγνώσκειν – ghignóskein, conoscere), definisce un sistema/procedura che permette di identificare la natura o la causa di qualcosa in qualsiasi ambito. In ambito medico, definisce un quadro clinico su cui intervenire.

In merito alle persone quindi, una diagnosi non dice ciò che una persona possa essere o cosa è, ma solo cosa, dal punto di vista clinico è o potrebbe essere.

«La diagnosi è una cosa del tutto irrilevante… Nel corso degli anni mi sono abituato a trascurare totalmente la diagnosi di specifiche nevrosi. Ciò che veramente conta è il quadro psicologico, che può essere disvelato nel corso della cura oltre il velame dei sintomi patologici»  (C.G.Jung)

Secondo il pensiero Junghiano, l’intervento che si fa, non è per una nevrosi specifica ma, esattamente ciò che si può o si deve fare ‘per quella persona’.

Ricordo ad esempio di un giovane ingegnere di qualche tempo fa, inviatomi da una sua collega (mia ex paziente) che una volta mi disse: ‘ho parlato della nostra terapia con la nostra comune conoscente, ebbene, ella mi ha detto: con me non ha fatto così!’.

Una volta finita l’analisi, nel corso del nostro ultimo incontro, il giovane ingegnere, in procinto di diventare anche lui, un mio ex paziente, riferendosi al colloquio citato sopra ebbe modo di dirmi: ’dottore, ora capisco perché con me ha fatto altro. Ha fatto altro perché siamo diversi, siamo tutti diversi e non esiste una pillola per ogni persona’.

Quindi, cosa fa lo psicoterapeuta? Non si focalizza sui sintomi ma sulla persona, in quanto realtà umana specifica, da avviare verso il processo di individuazione. Il processo che porta il soggetto ad una trasformazione necessaria e finalizzata, alla eliminazione dei disturbi che quei sintomi lasciavano intravedere.

Quindi vien da chiedersi? A cosa serve la diagnosi? La diagnosi è irrilevante. Dire che quella persona è borderline, depressa oppure bipolare non ci offre nessun aiuto.

Quella persona ha un vissuto che la porta a vivere con una modalità tale, che quelle diagnosi sintetizzano grossolanamente. Servono solo a individuare che tipo di eventuale farmaco somministrare. Serve allo psichiatra quindi, non allo psicoterapeuta.

Una volta una mia ex paziente mi disse: ’la mia psichiatra mi ha detto che sono bipolare, perché lei non me lo ha detto?’. Un’altra ‘il mio neurologo vuole sapere se sono psicotica oppure borderline’ …. Etc. A tutti rispondo: ‘io sono uno psicoanalista, non utilizzo nosografie psichiatriche. Per me lei è la signora X e non una psicotica oppure una persona bipolare. Io mi focalizzo sulla signora X e non sulla persona con la diagnosi di bipolare’.

Ho sempre condiviso e fatto mio  il pensiero di Jung che in merito sosteneva che l’esperienza ha insegnato di tenersi lontano sia dalle diagnosi che dai metodi. Non esiste un protocollo in psicoterapia (prendiamo ad esempio, una TAC: vediamo com’è fatto il suo cervello ma non ci aiuta a  comprendere come il paziente stia vivendo un conflitto sentimentale o lavorativo. Solo il colloquio ci fornisce le informazioni necessarie).

Siamo tanti e tutti diversi, quindi ogni volta che mi accosto ad un ‘caso’ non ho questionari (sia fisici che mentali). Ascolto ciò che mi dice e reagisco in funzione del controtransfert. Ogni comunicazione che mi arriva, la assorbo senza fare nessun tipo di ipotesi. La mia reazione è in funzione di ciò che io sono. Il ‘metodo’ che userò (vedi sopra il caso del giovane ingegnere) sarà in funzione di ciò che io sarò dopo quel racconto.

Ciò non implica la demonizzazione della diagnosi, dal momento che rappresenta  un modo di vedere il paziente secondo lo schema di un sistema diagnostico specifico. In tale accezione, il tutto si sposta sul tipo di sistema diagnostico utilizzato, dal momento che di sistemi diagnostici ve ne sono tanti.

La diagnosi dà un orientamento (ed è un metodo pratico e immediato nella eventualità di uno scambio con altri colleghi) ad uso esclusivo del medico ma di nessuna utilità per il paziente. Quindi cos’è decisivo e veramente importante? La sua storia, la sua essenza e la sua sofferenza.

Spesso i pazienti che vanno dallo psichiatra, hanno storie che non raccontano oppure che raccontano parzialmente. Tante, anzi no, tantissime persone, che ho seguito e seguo spesso mi dicono: ‘dottore, io questa cosa non l’ho mai raccontata a nessuno’.

Ricordo che un mio ex paziente, che soffriva di attacchi di panico, immancabilmente alle 4 del mattino si svegliava e in seguito faceva fatica a riaddormentarsi. Attraverso una serie di associazioni un giorno mi disse, candidamente che ‘… una mattina alle 4 del mattino, la polizia entrò in casa per trarre il padre in arresto’.

Allora, quando comincia veramente la terapia? Solo dopo aver ascoltato tutta la sua storia spesso inizialmente lacunose, ma che con calma e pazienza nel tempo escono fuori. Quando escono fuori, si inizia a guarire.

Perché?

Perché questo è il segreto celato e spesso inconscio. Questo segreto ha causato la rovina, ma rappresenta anche una chiave, anzi, ‘la chiave’ che porta alla guarigione.  Cosa fa il terapeuta per ‘svelare’ questo segreto? Domande, domande giuste e poste al momento opportuno. Raramente le domande sono concentrate sul sintomo perché lo sono sempre sulla sua storia.

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