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Caso clinico, nevrosi ossessiva

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Durante l’estate, in genere, si trova il momento per leggere o rileggere alcuni libri, anche se, in realtà, con: “durante l’estate”, si intende il breve e indispensabile ‘periodo di ferie’. Così è accaduto a me: ho riletto un libro acquistato tempo fa e ho trovato alcuni articoli veramente divertenti (non me ne voglia il signor C.)

Uno di questi, tratto dal testo: ‘A colazione con Jung’, di Gian Piero Quaglino e Augusto Romano a pagg. 29 e segg … racconta la storia del signor C. che potremmo definire (ma in realtà non è così, poiché è solo una creazione degli autori), un possibile caso di nevrosi ossessiva.

Se mai il signor C avesse risposto ad una di quelle interviste estive in cui eccellono i periodici femminili, richiesto di indicare l’hobby più amato, quello che nella sua apparente modestia più lo soddisfaceva, avrebbe risposto: lucidare i pavimenti. Non solo la domenica e le altre feste comandate. Anche la sera quando tornava a casa dal suo studio di commercialista, dopo cena, certe volte, prima di accendere la tv, più spesso dopo, al momento di andare a letto: una passatina con la lucidatrice dopo aver tolto ed ammucchiato i numerosi tappeti che rendevano felpati, inudibili, i passi nella bella casa, che già di suo era tirata a lucido. La cameriera non doveva sapere niente, né del resto se ne accorgeva. Egli comunque era stato sempre riservato sull’argomento, così come sull’altro hobby, quello di costruire maschere di cartapesta che poi ammucchiava nel solaio, ormai pieno. Opponeva alle rare domande uno sguardo chiuso e severo.

Una volta sola, forse aveva risposto alla moglie: “Fatti i cazzi tuoi.” Certo non era per lui una mortificazione; caso mai un ristoro dello spirito, corroborato dall’odore pulito ed un po’ pungente della cera. Tirato a cera, lucido, specchiante; soprattutto specchiante: il pavimento incerato perdeva profondità ed umilmente rispecchiava tutto ciò che gli si affacciava sopra. Un pavimento disponibile, gentile, che assecondava benevolmente gli oggetti, le persone.

Vaneggiamenti, parole in libertà. Il signor C. sapeva che la capacità di rispecchiamento dei pavimenti non può essere certo paragonata a quella degli specchi e, tuttavia, se non c’è polvere (non parliamo dello sporco), se si insiste, il parquet un po’ risponde e vagamente rispecchia il volto del signor C. Che bello, due superfici che si incontrano … il signor C. era catturato da una sorta di vertigine delle superfici, annunciata dal ronzio costante e prolungato della lucidatrice, che propiziava il sonno imminente. Si sarebbe potuto parlare di un rito? Il signor C. non si poneva il problema, così come mai si poneva problemi che non fossero tecnici. Interrogato avrebbe risposto un po’ spazientito: “Mah, è un’abitudine, mi rilassa.”

Il signor C., si è visto, amava la pulizia e l’ordine. Gli dava l’impressione di essere autosufficiente, di non aver bisogno di nessuno. Va aggiunto che vestiva semplicemente, non aveva vizi, sembrava non aver mai avuto passioni. I conoscenti gli imputavano una tenace avarizia, che lui interpretava come assenza di bisogni, e tutto finiva lì. Quando la moglie cominciò a tradirlo, parve non accorgersene. Già in casa parlava poco, parlò ancor meno. Accettava senza discutere le assenze della moglie, che improvvisamente aveva iniziato a ricevere inviti a convegni di fisica applicata in Italia e all’estero. Insomma, tutto procedeva benissimo, tutto era sotto controllo.

Il signor C. si compiaceva di sé anche se gli risultava difficile trovare qualcosa di specifico di cui compiacersi, ma, appunto era contento di sé e sé è una bella parola riassuntiva. Una sera, una segretaria dello studio, prima di andar via, con gesto automatico, spense la luce un attimo prima che lui uscisse. Si scontrarono sulla porta, sentì il seno che si schiacciava contro il suo braccio e non si ritraeva. “Una stiacciata, una stiacciata”, pensò ed accese subito la luce. La ragazza si scusò, andando a casa si disse: “la solita troia”. Si vede però che quella sera la luce voleva fare le bizze come un bambino infastidito. Entrato che fu in casa, il signor C. realizzò, dal forte soffio dell’aria, che si stava preparando un temporale e che le finestre erano aperte.

Intanto, come non di rado accade in occasione di perturbazioni meteorologiche, la luce che egli stesso entrando, aveva acceso, si spense. Non tanto questo lo turbò, quanto il turbinio di fogli sollevati dalla corrente d’aria. Si precipitò in sala per serrare le finestre. Poggiò dunque il piede irrequieto su un piccolo tappeto situato tra la porta e il tavolo rotondo su cui era posata la boccia con i pesci rossi. Sollecitato bruscamente, il tappeto, non trovando attrito slittò sul parquet immacolato. Perso l’equilibrio, C. cadde in avanti e sbatté il mento sull’orlo della doccia che andò in pezzi. Un frammento di vetro gli tranciò la carotide. Purtroppo, neanche i pesci rossi sopravvissero.

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