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Banalizzare le relazioni

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Le relazioni: ciao come stai

Assaporare nel profondo le relazioni, è ormai un’utopia. Quando ci si incontra abitualmente ci diciamo:

“Ciao, come stai?” e l’altro, anche se non è vero risponde:

– “Tutto bene grazie e tu?.” 

E poi? Cosa fa la gente dopo essersi salutata?

Eric Berne afferma: “L’eterno problema umano è la strutturazione delle ore della veglia.”

Le relazioni sono regolate oramai dalle buone maniere: impariamo a comportarci come si deve.

Dove sono finite le emozioni? E l’autenticità? 

Le emozioni obbediscono a determinate regole.

Se solo ci fermassimo un attimo, a riflettere, quante occasioni di autenticità ci perdiamo ogni giorno?

Il nostro modo di affrontare la vita è il più semplice. È semplice dare la colpa agli altri; è semplice dare la colpa a noi stessi; è semplice proiettare all’esterno le responsabilità del proprio mondo interno.

Altri stereotipi:

 “Mio figlio ha preso un’insufficienza a scuola”; ” è tutta colpa del docente!”

 “Mio marito mi ha tradita”; “è tutta colpa sua”

“ho perso una vita a starti dietro”

“è tutta colpa tua”

“non devi uscire e devi occuparti della casa”

” è tutta colpa tua se non posso andare a divertirmi”

 E’ così semplice. È semplice affidarsi al volere dell’altro piuttosto che affrontare qualcosa di cui si ha paura: assumersi le proprie responsabilità.

Il termine, responsabile, da un lato richiama la capacità di rispondere di sé, dei proprio pensieri, delle proprie azioni ed emozioni; dall’altro significa anche la consapevolezza di poter rispondere per e verso l’altro.

La parola – colpa – viene gettata come un sasso nello spazio drammatico delle relazioni e ci permette di apparire come Vittima o Carnefice.

Ciò che colpisce è la ripetitività con cui questa parola ritorna ogniqualvolta l’individuo deve confrontarsi con situazioni faticose e difficili, che implicano la consapevolezza dei limiti propri e altrui.

Il senso di colpa è sempre accompagnato a un sentimento di angoscia; c’è invece una modalità quasi trionfalistica ed esibitoria nel buttare in faccia all’altro la frase “è colpa tua!”. 

Sono modalità utilizzate per difendersi da situazioni vissute come angosciose, che immettono paura. Dichiararsi o dichiarare l’altro colpevole è un mezzo per mascherare le paure e i conflitti sottostanti.

Sotto questa prospettiva, la modalità “è tutta colpa sua!”

Oltre ad avere una funzione sociale, è indispensabile  per la salute di alcuni individui. La loro stabilità psichica e la loro posizione, sono così precarie e incerte che, a privarli di questi riti formali, si rischia di farli piombare in una disperazione irreversibile. 

Tuttavia, le soddisfazioni assicurate da un’intimità libera da ogni elemento illusorio sono tali che, perfino personalità dall’equilibrio precario, possono tranquillamente abbandonare questi schemi organizzativi e distruttivi, quando trovano un partner adatto per una relazione migliore.

Non si tratta di re-impostare un rapporto alla luce di questi riti formali, bensì di riconoscere “il gioco che stiamo giocando ” ( cit. Eric Berne) e di comprendere e rendersi consapevoli del ruolo che ci siamo assegnati, nel quale siamo caduti.

Porre  proprio ruolo di fronte a se stessi, diventa il punto di partenza per la costruzione di un modello alternativo a quello esistente distruttivo.

Non riconoscere il ruolo assunto, stringe in spirali sempre più strette di tensione, la nostra vita personale.

È importante poter fare esperienza di riconoscimento da parte degli altri e acquisire la consapevolezza del proprio diritto a essere nel mondo; divenire responsabili di sé e per gli altri.

LA PAURA SI SUPERA GUARDANDOLA.

A cura della d.ssa. Marilena Caputo

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