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Teorie psicodinamiche della tossicodipendenza

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Teorie psicodinamiche della tossicodipendenza

In campo psicoanalitico, non esiste ancora una vera e propria teoria della tossicomania e quindi anche dell’alcolismo, che è uno dei modi in cui essa si declina.
La tossicodipendenza infatti, è ancora oggi affrontata come se fosse qualcosa d’altro, un’epifenomeno che rimanda ad una patologia sottostante lasciando intendere che è quella che in realtà deve essere curata.

Ogni approccio psicodinamico infatti tende a ricercare “qualcosa che è accaduto prima“, considerando una serie di eventi concatenati tra loro che riescano poi a dare un senso all’attuazione di un comportamento tossicodipendente ed alla sua genesi.

Tentando di esemplificare questo aspetto, possiamo citare alcuni esempi di come diversi autori psicoanalitici, considerati eminenti clinici nel loro campo, considerino la tossicodipendenza.

Meltzer ad esempio, ritiene che la tossicomania sia un “tipo di organizzazione narcisistica delle strutture infantili che indebolisce e può eliminare la parte adulta della personalità dal controllo del comportamento“.
Rosenfeld sovrappone la personalità del tossicodipendente a quella della persona affetta da sindrome maniaco depressivo.
Bowlby, sulla base della sua “teoria dell’attaccamento“, elabora l’esistenza di una similitudine tra la tossicodipendenza ed una condizione di “iperdipendenza“, poi meglio  definita come “attaccamento ansioso” o “immaturo“. 
Kohut  ritiene che la tossicomania  vada inquadrata nell’ambito dei disturbi narcisistici. La droga è, in questi casi,  “una sostituzione di una funzione che l’apparato psichico non può svolgere, non un sostituto di un oggetto d’amore o da cui essere amati”. 
Bergeret
 ritiene invece che non esista una struttura di personalità considerabile come specifica del tossicomane. Non solo, egli afferma che non esiste neppure una struttura psichica profonda che caratterizza i comportamenti di dipendenza.

Qualsiasi tipo di organizzazione mentale, per l’autore, può dare loro origine e individua quindi tossicomani la cui struttura è nevrotica e tossicomani con modalità di funzionamento mentale di tipo psicotico, oltre a tossicomani con un’organizzazione depressiva della personalità.
Adler cerca di spiegare le dinamiche che si trovano alla base delle tossicodipendenze, utilizzando alcuni concetti fondamentali della Psicologia Individuale.
Tra questi:

  • l’intelligenza privata
  • i falsi scopi
  • il pensiero antitetico
  • la finzione

Nel modo in cui essi vengono elaborati dal bambino trascurato e maltrattato, oppure, troppo viziato.

Intelligenza privata (o “personale”): si tratta di un meccanismo usuale nei nevrotici, il cui  scopo è  quello di giustificare i propri pensieri e azioni, meccanismo passibile naturalmente di molti errori, dal momento che tendono a rispondere a bisogni molto soggettivi.
La persona desidera sfuggire alle esigenze del quotidiano, evitare di dover prendere decisioni e di fuggire davanti alle proprie responsabilità. Ciò  porta il soggetto a crearsi un mondo proprio, del tutto individuale, lontano dal mondo collettivo in cui in effetti vive e a cui, ovviamente, dovrebbe adeguarsi. 
I falsi scopi, che rappresentano modalità di comportamento o di reazione tipiche, sono  attivate dai bambini in situazioni dove si sentono scoraggiati. Il loro fine è quello di   recuperare una certa sicurezza e capacità di affermarsi per ritrovare una collocazione sociale.
Secondo Dreikurs R., 1969, sono  quattro i  falsi scopi che un bambino può  attuare per trovare una propria collocazione:

  1. attenzione indebita
  2. lotta per il potere
  3. vendetta
  4. totale inadeguatezza

Tutte e quattro sono modalità psicologiche di rassicurazione disadattative, con le quali il soggetto, può fare del male a sè stesso ed agli altri.

Il pensiero antitetico: secondo Adler, definisce una percezione della realtà basata sugli opposti (come ad esempio, alto/basso, maschile/femminile) ed influisce nel determinare lo stile di vita del soggetto.
Il tossicodipendente attua in continuazione quelle modalità dinamiche, osservabili ad un occhio clinico, che lo spingono a passare da uno stato di inferiorità a una condizione di superiorità.

Egli infatti, combatte una specie di lotta contro la sostanza stessa e così facendo, persegue una volontà di potenza che lo induce a pensare di poter gestire la droga in una  continua sfida dove egli, pur percependosi come vincitore, in realtà, viene continuamente sconfitto. Il tossicodipendente, nella sua lotta per affermare la sua volontà di potenza, secondo Adler, non fa che perdere, al di là della sua percezione soggettiva.
Le finzioni patologiche rappresentano degli  strumenti che consentono al tossicomane di costruirsi un mondo fittizio, onirico, che permettono di fuggire dal reale e di alleviare così, la grande ansia ed angoscia derivante dal caos in cui si trova.

Secondo Adler quando un soggetto fa uso di sostanze, ciò significa che egli vuole cancellare il proprio sentimento di inferiorità e che la sostanza  d’abuso, è da lui utilizzata per non dover affrontare i problemi a cui la realtà inevitabilmente mette davanti. Assumere la sostanza tossica, garantisce una percezione fittizia del mondo, che però viene tradotta, dal tossicomane,  “come se” fosse reale.

Appare chiaro che il benessere indotto dalle sostanze  di abuso, non permette all’individuo di potersi confrontare,  capire e risolvere i propri problemi, al contrario, lo porta all’abuso pur di poter rivivere le sensazioni piacevoli e riprodurre il mondo fittizio in cui esse lo immergono.

Vediamo quindi instaurarsi, nel tossicodipendente, un sistema di finzioni il cui scopo è quello di difendere il precario senso d’identità  fino ad allora raggiunto, negandone contemporaneamente, i problemi e gli aspetti critici.

Le relazioni infantili con le figure genitoriali hanno, sempre secondo Adler,  un ruolo fondamentale nello sviluppo delle diverse forme di tossicodipendenza.

Il bambino viziato ad esempio, è quello che sviluppando una dipendenza assoluta particolarmente con la madre, non procede secondo un corretto processo di individuazione perchè  “abituato alla costante presenza di una persona, ogni situazione che ne preveda l’assenza appare ora inaccettabile” (Ansbacher H, Ansbacher R, 1997).

Il tossicodipendente sostituisce la sostanza stupefacente alla madre, persona sempre presente e capace di nutrire il soggetto, stesso ruolo che assegna alla sostanza con cui si droga.

Essendo una persona estremamente insicura e che avverte ciò in modo profondo, incapace dinanzi alle esigenze della realtà, il tossicodipendente utilizza le droghe e l’alcol come agente che lo deresponsabilizza da ciò che “dovrebbe fare” e rispetto al quale si sente incapace o insufficiente. Così facendo, egli può poi facilmente imputare all’ambiente i suoi fallimenti, ciò che non gli permette però di sviluppare un sentimento sociale adeguato.

Così, sarà molto più difficile per questo tipo di personalità, riuscire ad assolvere, nelle sue relazioni con il mondo esterno, i propri compiti vitali in autonomia.

Il bambino trascurato o maltrattato è quello che è stato privato della presenza di  persone che si sono prese adeguatamente cura di lui,  cercando di alleviare il  suo primissimo sentimento di inferiorità fisiologica.

In questo caso, il piccolo dell’uomo, non raggiunge un grado  sufficiente di autonomia. Questo a sua volta,  aggrava il suo sentimento d’inferiorità, trasformandolo in un vero complesso d’inferiorità.

Adler ha effettuato una similitudine  tra lo stile di vita del tossicomane e  quello del melanconico.

Il melanconico infatti,  utilizza la propria debolezza come un’arma che gli permette di evitare le responsabilità ed  aspira a “costringere l’altro alla propria volontà e a conservare il prestigio, mediante l’anticipazione della rovina” (Adler A, 1920).

La droga, secondo Adler, favorisce l’illusione di significatività: i drogati hanno  infatti mete troppo elevate che, in quanto tali, non possono essere raggiunte. Questo provoca  frustrazione e come conseguenza, l’utilizzo della sostanza permette di alleviarla. Ciò gli  permette di vivere momenti di illusione, rifugiandosi nel mondo della fantasia.

La Psicologia Individuale di Adler, ha tentato una descrizione dello “stile di vita tossicomanico”, analizzandone psicogenesi e  finalità delle scelte soggettive.

Adler, ritiene che alla base dei comportamenti che conducono alla dipendenza, ci sia la ricerca del piacere e che i meccanismi che troviamo alla base della dipendenza siano identici a quelle che troviamo nelle patologie nevrotiche.

L’Autore mette sullo stesso piano le persone che fanno abuso di sostanze, siano essi nevrotici oppure criminali; egli considera la tossicodipendenza come l’espressione di un sintomo nevrotico, alla base del quale vi è un mancato adattamento alla vita e che  fin dall’infanzia,  si manifesta generalmente, con comportamenti rinunciatari, deboli, evitanti, etc. Tutto ciò è connesso ad uno scarso sviluppo di sentimento sociale.

Questi fenomeni possono portare l’individuo a cercare di isolarsi per andare oltre il  suo angosciante sentimento di inferiorità, utilizzando  una sostanza di abuso per non dover affrontare i problemi a cui la realtà pone davanti.
Un altro fine molto importante dell’utilizzo di sostanze  di abuso, è quello di evitare di prendere decisioni e di non dare risposte ai quesiti della vita e della realtà.
Secondo F. Parenti (1983), tutti i tossicomani hanno alcuni aspetti comuni nel loro temperamento, come la “tendenza a mentire e il diritto a ricevere”
La tendenza a mentire, l’iperdifesa, l’arroganza sono caratteristiche distintive dello stile di vita del tossicomane, che dà così un’immagine di sè del tutto negativa e provando allo stesso tempo, una grande  diffidenza nei riguardi del mondo esterno percepito e rappresentato come nemico.
Il tossicodipendente, pur essendo consapevole di commettere un crimine,  per giustificarlo, colpevolizza la società oltre le responsabilità che realmente gli sono attribuibili. Per il tossicodipendente, è colpa della società ciò che lui vive.

Questo perchè la sua mentalità è dissociale. E’ una persona sempre attenta e molto sospettosa, che vive i reati che ogni volta commette per procurarsi la sostanza d’abuso, come conseguenza di qualcosa che gli spettava e non gli è stato concesso e quindi, hanno portato alla frustrazione di un suo diritto.

Tornando ad Adler, vediamo che egli descrive il drogato come una persona che si rifugia nella sostanza per giustificare e sopportare il fallimento delle proprie azioni, similmente ad una persona nevrotica ma non pazza, che preferisce trovare rifugio all’interno di un manicomio invece di affrontare le proprie responsabilità, di fronte alle quali si sente incapace o fallace.

Nonostante le teorie sugli stati pre-morbosi (che condurrebbero all’uso di sostanze come tentativo di “autocura” che poi diventano il problema) e sulle similitudini tra tossicodipendenza e altre psicopatologie, molti autori concordano oggi sul fatto che è necessario affrontare la tossicodipendenza come una patologia vera e propria, alla quale possono associarsene delle altre.

La tossicomania sarebbe quindi un epifenomeno, ovvero un fenomeno secondario di uno primario, anche se non se ne percepisce il rapporto.  Come dicevamo sopra, l’epifenomeno è la tossicodipendenza, il fenomeno è quello che i vari autori (vedi sopra) hanno evidenziato. In sintesi, il tossicodipendente è un nevrotico e andrebbe curato (sul piano psicologico) come tale. Ovviamente la terapia deve assolutamente essere integrata con quella medica.

La  tossicodipendenza non deve più essere considerata come qualcosa esclusivamente interna all’individuo, un problema esclusivamente intrapsichico. Allo stesso tempo, non deve essere considerata esclusivamente, un effetto farmacologico di alcune particolari sostanze o, anche,  soltanto derivante dalle condizioni  di un determinato ambiente socioculturale.  Nella tossicodipendenza, molti fattori interagiscono tra loro.

La tossicodipendenza fa “saltare” come un corto circuito, strutture biologiche e psicologiche evolutive dell’individuo, facendolo sprofondare nel funzionamento di  strutture primarie primitive e radicali.

A cura della d.ssa Elisabetta Lazzari

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