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Alienazione Parentale

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Alienazione Parentale

Recentemente si è sentito spesso parlare di Alienazione Parentale nei procedimenti di separazione e divorzio. Ma cosa si intende, di preciso, per l’alienazione parentale? La risposta la troviamo nel Codice Civile e nella sentenza  della Corte Suprema della Cassazione n.6919 del 2016:

 Il Codice Civile, all’art. 337-ter comma 1 c.c. recita:

Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

La suddetta sentenza si è espressa in merito ai compiti del giudice in caso di denuncia da parte di un genitore sul mancato rapporto equilibrato e continuativo con il figlio per colpa dell’altro genitore: “il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena” (Cass. 6919/16).

Spesso, sentiamo parlare di Sindrome da Alienazione Parentale: è da precisare, però, che l’alienazione parentale non è una patologia clinica, una malattia della psiche. Questo termine è stato coniato in ambito giuridico-forense per descrivere il processo attraverso il quale un genitore utilizza e strumentalizza il figlio al fine di negargli un rapporto equilibrato e duraturo con l’altro genitore. Inoltre, l’accusa di alienazione parentale viene spesso rivolta alle madri che manipolano i figli influenzando negativamente il loro rapporto con il padre. In realtà, questo processo non è ‘genitore-specifico’, ma può riguardare indistintamente entrambi e, inevitabilmente, coinvolge tutto il nucleo genitori-figli.

Da un punto di vista psicologico è possibile definire l’Alienazione Parentale come un processo psicologico che

‘determina nel figlio, in relazione alla sua età e alla sua capacità di discernimento, una coartazione della sua volontà e rappresenta un pregiudizio per la tutela della sua salute psicofisica con conseguente violazione della sua dignità’ (M. Pingitore).

Per poter rilevare una situazione di Alienazione Parentale si deve nominare una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), che provvederà ad indagare sulle effettive motivazioni del figlio nel rifiutare uno dei due genitori. I possibili interventi, seppur da calibrare in base alle caratteristiche di ogni specifico caso, dovrebbero essere determinati ed efficaci. Interventi quali la coordinazione genitoriale, la mediazione familiare, la psicoterapia per la coppia genitoriale o gli incontri protetti, soprattutto nei casi più gravi, non si sono rivelati molto efficaci, soprattutto se il figlio continua a vivere con il genitore alienante. Nelle situazioni più complesse sarebbe necessario, in primis, interrompere il legame disfunzionale tra il figlio ed il genitore alienante e questo è possibile attraverso:

  • Inversione di collocamento, per cui il bambino viene collocato dal genitore alienato;
  • Trasferimento in struttura protetta del bambino.

Si tratta, in entrambi i casi, di decisioni psicologicamente forti per chi le subisce e la loro realizzazione è da valutare in base a diversi fattori, quali l’età del bambino ed il grado di rifiuto verso il genitore alienato.

Da questo breve articolo, si può comprendere come il tema dell’Alienazione Parentale, oggi molto ricorrente, sia in realtà estremamente complesso, poiché coinvolge contemporaneamente esperti psicologi e giuristi, che devono lavorare tenendo a mente il benessere del minore o dei minori coinvolti.

 

A cura della Dott.ssa Silvia D’Andrea

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