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Ansia e panico – quali sono le cause scatenanti?
Conoscere le cause psicologiche dei disturbi di ansia e del panico, chi soffre di attacchi di panico certamente conosce bene la sintomatologia che gli permetterebbe di andare oltre il sintomo. Infatti, il panicante va incontro a diverse tipologie di fobie la cui gestione potrebbe risultare complicata.
Ad esempio:
- stare in casa da soli, oppure uscirne da soli;
- stare costretti in piccoli e angusti spazi (ascensore), oppure esattamente il suo contrario, stare all’aperto dove non c’è nulla, oppure superaffollati;
- andare in macchina, oppure usare i mezzi pubblici, come la metropolitana, gli autobus, il treno, gli aerei, …
ecco, tutte queste cose, possono causare attacchi di panico.
Come conoscere le cause (psicologiche) di un attacco di panico
Le descrizioni di ciò che può accadere, oppure di ciò di cui si ha paura, possono variare quasi infinitamente ma, la domanda veramente utile è:
perché? Quali sono le cause? Cosa veramente temiamo?
Dietro tutto ciò, chi soffre di attacco di panico sa, o dovrebbe sapere, che non ci sono quasi mai fatti obiettivi, dati concreti, dal momento che sono tutte riconducibili a ragioni psicologiche profonde e quindi, conoscere le cause psicologiche dei disturbi di ansia e del panico, indubbiamente sarebbe di grande aiuto
La paura del mondo interiore
A chi tutto fa paura, ha paura di ciò che sta fuori (ma anche dentro) che viene percepito come pericoloso, come una minaccia, … ma in realtà non c’è quasi mai un reale pericolo.
Tutto avviene perché noi proiettiamo un nostro contenuto interno che nulla ha a che vedere con il problema percepito.
Portiamo fuori da noi stessi ciò che è la vera causa della nostra paura. Quindi non sono gli spazi affollati, oppure ristretti, il mezzo pubblico oppure la tanta gente, che veramente ci fa paura.
Ciò che ci fa paura e ci va venire l’ansia, oppure gli attacchi di panico, sta dentro di noi ma, poichè lo ignoriamo (o preferiamo ignorarlo) tendiamo ad attribuirla a qualcosa che sta al di fuori, la proiettiamo al di fuori, ovvero, sulla gente o la mancanza di gente; sul mezzo pubblico; sugli spazi, …
Chi ne soffre, viene da noi e ci chiede di togliere la loro paura, di togliere tutte quelle sensazioni sgradevoli che spaventano. Ci chiedono di ridare a loro, un corpo più normale, ‘com’era prima’.
Si perché oggi, è causa di un disagio quasi insopportabile, un qualcosa da aggiustare, magari con qualche tecnica di rilassamento oppure con qualche marchingegno psicologico.
Male fisico e male psicologico
Queste persone vengono e ci chiedono: “guarirò dall’ansia e dagli attacchi di panico?”
Il quesito è interessante infatti ci chiede se saranno mai in grado di controllare il corpo che fa le bizze. I messaggi incomprensibili che ci vengono dal nostro mondo interno, percepiti come un qualcosa di anormale, da cambiare o, in subordine, quantomeno da tenere sotto controllo, vanno interpretati e utilizzati per promuovere un cambiamento.
Tenere sotto controllo cosa? Il corpo? Colui che ti sta mandando un messaggio esplicito? Quali sono i modelli che ci permettono di costruire la realtà e la realtà delle relazioni?
Quali sono i motivi per cui oggi si fa un grandissimo uso di farmaci a sostegno delle difficoltà psicologiche? Motivi che hanno portato a identificare la malattia in senso negativo, ovvero dirsi ad esempio ‘non sto bene’.
C’è in ambito medico un atteggiamento tale per cui tutti i problemi psicologici, possono essere risolti e trattati con cure farmacologiche (verissimo in casi specifici); tale ambito ha un nome, ovvero ‘riduttivismo biologico’, ovvero quella visione che vede l’uomo solo come una interazione di attività biochimiche.
In tale accezione, il pensiero diviene solo un’interazione biochimica.
Tale visione però azzera la nostra umana natura e la riconduce ad un mero miscuglio di parole del tipo: neurotrasmettitori, reazioni organica, quantità di sostanze eccitatorie oppure inibitorie, … tutte parole che trascurano completamente la socialità dell’individuo.
Quando non stiamo bene, il più delle volte, qualcosa ci avvisa che stiamo costruendo relazioni sulla base di posizioni ancora inespresse.
Ecco che in questo punto si delinea l’enorme differenza tra due concetti, espressione di due punti di vista diversi tra loro:
- l’aspetto medico del ‘curarsi’ (medicine), espressione di un atteggiamento passivo di colui che soffre;
- l’aver cura di se’ del paziente che decide di analizzare il ‘segnale’ che il corpo rimanda.
Quindi, quando gestiamo questo tipo di ‘malattia’, significa che l’interazione relazionale deve svolgersi su altre dimensioni, forse non tenute nelle giuste considerazioni, ma che certamente rappresentano aspetti significativi di noi di cui però, non ne abbiamo consapevolezza.
Le dinamiche dell’ansia
Ansia (Dal lat. anxia, femm. sost. di anxius ‘ansioso’, der. di anxus ‘stretto’ ) vuol dire in parole semplici, ‘soffocare nelle strettoie’.
L’etimologia del termine, può aiutarci a comprendere meglio la dinamica dell’ansia stessa.
Cosa sono ‘le strettoie’ in termini psicologici?
Sono quelle vie anguste (strettoie) che ci costruiamo rispetto a tutti i rapporti carichi di affettività.
Rappresentano quindi tutte quelle manifestazioni interne che ci siamo (ci hanno) costruiti e che ci obbligano a contenere tutte le relazioni in funzione delle nostre credenze o convinzioni.
Come abbiamo visto sopra, oramai sappiamo benissimo che le nostre rappresentazione interne, non hanno nulla a che fare con la realtà bensì al modo con cui ce la rappresentiamo. Un mezzo che, anche se distorto, ci funge da guida e ci permette di orientarci. Ma se lo strumento è ‘starato’ e quindi, l’orientamento non può che risultare sfalsato.
Ecco perché il nostro orientamento ci porta a soffocarci in quelle ‘strettoie’ di cui dicevamo sopra. Questa ‘scarsa visibilità’, ci impedisce di accettare, riconoscere, esprimere tutte le nostre reali emozioni.
Quindi, in altre parole, la nostra personalità viene semplicemente soffocata. Ecco che il nostro corpo che, con le sue ‘anomalie’, ci obbliga a dare uno sguardo al nostro interno al solo scopo di ‘svegliarci’ e farci finalmente vedere ciò che veramente siamo e forse ciò ci permetterà di conoscere le vere cause psicologiche dei disturbi di ansia e del panico
Tradurre ciò che accade dentro di noi è difficilissimo, come difficile diviene osservare le nostre paure senza rimanere annichiliti, comprendere e accettare i nostri limiti; ma solo così possiamo superare quei limiti oppure quelle cristallizzazioni oppure, ancor più, riunire tutte quelle parti che sono scisse, oppure hanno avuto un’evoluzione indipendente e non integrata.
Nel fare tutto ciò, la persona recupera quelle risorse che pensava di non possedere (nessuno sa veramente di quante cose è capace di fare, finché non le fa); questo coraggio, queste capacità stanno alla base dell’evoluzione di noi umani, sta alla base di tutto ciò che facciamo nel costruire la nostra esistenza.
Il terapeuta, nell’analizzare le emozioni in tutte le sue dimensioni, aiuta a cogliere quel senso e quelle parti scisse, per riordinarle in un tutto omogeneo e sensato, permettendo un ricollegamento con le parti coinvolte nello strato emotivo e relazionale che permettono finalmente di sviluppare nuove relazioni, nuove visioni, nuove prospettive, che alla fine risulteranno più utili perché più flessibili.
Ecco quindi spiegato il senso di una psicoterapia, che diviene un mezzo che permette di esprimere tutti quegli aspetti della nostra natura, prima nascosti e osare nuovi percorsi al solo scopo di una maggiore comprensione della ‘reale’ realtà psichica.
In conclusione, chi soffre di attacco di panico, ne soffre perché si vede costretto a fare cose che non vuole. Non le vuole perché non può fare altrimenti, o, più verosimilmente, perché non sa di poter esprimere anche altri comportamenti, vivendo in una dimensione ansiosa ovvero ‘ristretta’.
Foto di Gino Crescoli da Pixabay