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La valutazione dell’idoneità parentale

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La richiesta di valutare l’idoneità educativa, attuale o potenziale, di persone adulte che svolgono o desiderano svolgere un ruolo parentale, viene avanzata abbastanza frequentemente dai tribunali ordinari e, rispettivamente, da quelli dei minorenni. Il tribunale ordinario avanza questa richiesta nei casi più difficili di separazione o di divorzio di una coppia coniugale per meglio valutare l’idoneità dell’uno o dell’altro genitore ad assumere l’incarico di genitore affidatario; qualche volta per valutare l’opportunità che altre persone, al di fuori dei genitori ritenuti poco fidabili, possano essere incaricate di questo ruolo.
La prassi dell’affidamento dei minori è regolata dal diritto di famiglia, il quale è fondato attualmente sulla legge n. 151 del maggio 1975. La separazione coniugale non viene più accordata per colpa ma per “addebito”; non vengono più considerati motivi di separazione l’adulterio, l’abbandono, l’ingiuria grave, mentre si ammettono la “intollerabilità” della convivenza ed il “grave pregiudizio” dell’educazione e dello sviluppo dei figli minori.
Quali che siano i motivi del conflitto coniugale, la tutela prioritaria dell’interesse dei minori viene assunta come criterio principale per decidere l’affidamento all’uno o all’atro genitore: diviene così importante stabilire quali dei genitori possiede una migliore idoneità educativa, e quest’ultima viene considerata non solo in rapporto alle capacità personali dei genitori (affetto, intelligenza, equilibrio emotivo, disponibilità relazionale, ecc.), ma anche alle capacità dei figli, alle loro inclinazioni ed aspirazioni. E’ proprio per tutelare in modo prioritario l’interesse dei minori che qualche volta il giudice dispone una consulenza tecnica anche quando i genitori abbiano concordato una soluzione circa l’affidamento dei figli. Può accadere, infatti, che tale soluzione non risponda davvero all’interesse di figli ma derivi da accordi che nulla hanno a che vedere con esso: per esempio, accordi di tipo finanziario oppure un atteggiamento rinunciatario, di comodo, del padre o della madre.

E’ opportuno ricordare che la consulenza tecnica non costituisce un mezzo di prova, perché non ha lo scopo di convincere il giudice che determinati fatti siano falsi o veri, ma serve unicamente a fornire al giudice quelle conoscenze di cui egli non dispone per valutare le circostanze esposte dalle parti e le prove che gli vengono offerte. La consulenza può risultare decisiva ai fini della decisione, ma il giudice resta comunque libero di accogliere o meno le osservazioni e le conclusioni cui è giunto il consulente e può decidere di non tenerne conto purchè naturalmente motivi in modo adeguato la sua scelta. Il consulente tecnico nominato dal giudice, per questo detto “consulenze d’ufficio”, può essere affiancato, se le parti ne fanno richiesta, da “consulenti tecnici di parte”, esperti nella stessa materia, che hanno la funzione di assistere le parti nello svolgimento della indagine disposta dal giudice.

A. Quadrio, G. De Leo “Manuale di Psicologia Giuridica”, Edizioni Led, 1995

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