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Alcune riflessioni sui MANDALA

Il significato simbolico dei mandala
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Foto di Devanath da Pixabay

Il significato psicologico dei mandala

Per comprendere il significato psicologico dei mandale, dovremmo propedeuticamente,  avere qualche nozione in merito al concetto di inconscio collettivo,  che riveste un ruolo centrale nella psicologia analitica Junghiana.

Definizione dell’inconscio per la psicologia junghiana

Carl Gustav Jung, allievo di Freud e affascinato dai suoi studi, pur accogliendo il concetto di inconscio, lo amplifica arricchendolo di tanti altri contenuti e significati che solo in parte sono stati accettati dal suo maestro.

Jung riconosce l’esistenza di un inconscio personale; è un ‘luogo’ ove vengono rimossi o dimenticati tutti quei contenuti che la coscienza infantile fa fatica a integrare.

Tutti questi contenuti tornano sotto forma di sogni oppure come ‘ritorno del rimosso’ nel corso di una psicoanalisi. Quindi, oltre alla coscienza abbiamo anche un inconscio personale con le caratteristiche appena descritte.

Jung aggiunge un altro ‘locus’, per l’appunto, l’inconscio collettivo.

Mentre nell’inconscio freudiano troviamo tutto ciò che attiene alle acquisizioni e alle esperienze specifiche del soggetto, quest’altro invece conserva tutto ciò che attiene all’umanità ovvero, i comportamenti, i contenuti che ‘homo’ ha accumulato nel corso del suo lunghissimo cammino e lungo tutte le fasi evolutive.

In quanto tale quindi, è una struttura che si eredita nascendo e si poggia su quanto è stato a loro volta ereditato dal padre, nonno, bisnonno, avo, trisavolo, arcavolo etc. giù giù fino ad arrivare a Lucy.

Come immediata conseguenza, non ha nulla a che vedere con le proprie esperienze, ma sono innate. Quest’ultimo non deriva da esperienze e acquisizioni personali, ma in quanto innato, rappresenta uno ‘strato’ di psiche comune ad ogni essere umano.

In sintesi quindi, l’inconscio personale contiene esperienze personali dimenticate o rimosse (quindi precedentemente coscienti), nell’inconscio collettivo ci sono contenuti che non sono mai stati nella coscienza.

Mentre i contenuti personali hanno a che fare con le emozioni personali che Jung chiama ‘complessi a tonalità affettiva’, che hanno il compito di gestire la parte più intima della propria psiche, per quelli collettivi, si parla di archetipi.

Jung studiò molti i complessi e si rifà alle idee fisse di Janet.

Cosa sono i complessi

Cosa sono i complessi? Jung li vedeva come frammenti di psiche (o personalità frammentarie). All’interno di questi frammenti, ci sarebbero tutte quelle cose che l’io del soggetto pensa quando è orientato verso un obiettivo e cioè: intenzione, sentimento, volontà percezione, etc.

L’Io (ego) è anch’esso un complesso (uno dei tanti) e la coscienza altro non è che il risultato della capacità che l’Io ha di farli suoi e di usare in modo efficace i complessi che stanno alla base della propria esistenza.

Cosa succede se mancasse questa sorta di autoriflessione dell’Io? I complessi funzionerebbero senza controllo, in modo automatico e sarebbero caratterizzati dalla compulsività. 

Il ruolo degli archetipi

In merito agli archetipi, anche se transpersonali e appartenenti al raggio d’azione dell’inconscio collettivo, la loro presenza è costante e influiscono concretamente nella nostra quotidianità.

Il loro effettivo svolgersi lo si evidenzia in particolare nei sogni e la loro interpretazione permette di evidenziarne il loro effetto e supporto, che come ho detto sopra è costante e utilissimo.

Quali sono le caratteristiche dell’archetipo? Lo abbiamo detto sopra, appartengono a tutti, quindi sono universali; sono di tutti e quindi impersonali e vengono ereditati.

Per Jung (ma non solo) nascendo, ereditiamo i tratti somatici della nostra specie ma anche la mente (psiche), già ricca in quanto prodotto storico multistratico formatosi nel corso dell’evoluzione. Jung fa il paragone della mente (primordiale) con la ghianda che diventa quercia. Il suo processo evolutivo ha richiesto un arco di tempo lunghissimo e non si fermerà mai.

Innatismo, ereditarietà ed empatia costituiscono quindi una sorta di standard del pensiero collettivo, tipico di noi umani. Tutte cose pensate da Jung ma anche da altri studiosi e che trovano oggi conferma dalla nota scoperta dei neuroni a specchio.

Per evitare di fare confusione tra istinto e archetipo, Jung ci viene in aiuto definendo i primi come null’altro che stimoli di natura fisiologica che vengono visti, sentiti, odorati etc, ovvero percepiti dai nostri sensi, mentre gli archetipi sono immagini, fantasie e simbolismi svelati dagli istinti.

Ecco quindi chiarito il ruolo degli archetipi come quello di spingerci verso ciò a cui istintivamente tendiamo un po’ come il ragno che si fa la ragnatela in un modo specifico, oppure la rondine con il suo nido diverso da quello del passero e così via.

Cosa sono i Mandala

Una delle caratteristiche dell’archetipo è l’universalità e il mandala è un simbolo universale. Lo ritroviamo in tutte le culture e in tutte le regioni geografiche.

Ci sono infatti nell’arte cristiana (Cristo al centro e i 4 evangelisti agli angoli – rosoni delle chiese, etc), buddista, degli indiani Navaho d’America, nell’induismo, famosa la “ruota solare” paleolitica scoperta nell’Africa del sud e via dicendo.

Quindi, se il mandala è un simbolo universale, indubbiamente attiene a qualcosa di specifico e utile per gli essere umani. Nelle osservazioni di Jung (durate circa 20 anni) emerge, che tali raffigurazioni avvengono in soggetti che hanno vissuto momenti di disorientamento ma anche di dissociazione psichica molto più frequenti nei bambini ma anche in adulti colpiti dalla nevrosi.

Notevole anche lo sviluppo in tutti quei casi di confusione psichica caratterizzati da psicosi o schizofrenia. In tutte queste situazioni, le immagini che vengono disegnate o descritte sono prevalentemente circolari e fungerebbero da compensazione al dissolvimento (nei casi gravi) ovvero alle crisi psicotiche.

Jung nei suoi scritti, ci riporta che tutti i mandala che i suoi pazienti hanno disegnato, sono caratterizzati da un centro inserito in un cerchio a sua volta circoscritto da un quadrato.

Tutte rappresentazioni che richiamano i mandala tibetani o hinduisti.

Questa caratteristica porta inevitabilmente a riflettere sul carattere autonomo della psiche (il ragno che fa la tela); un fenomeno simile che si ripete sempre e ovunque, quindi un modo (arche)tipico di noi umani.

I pazienti di Jung, rappresentano il proprio disagio utilizzando un modello tipico ereditato e non acquisito tramite strumenti culturali tipiche del luogo di nascita e appartenenza.

Cosa rappresentano i mandala

Ma allora i mandala, cosa sono e a cosa servono? Jung li chiama ‘ordinatori di rappresentazioni’ di comportamenti innati, appartenenti alla razza umana e acquisiti nel corso dell’evoluzione.

Il Buddhismo e gli induisti tantrici ne fanno largo uso.

Sul piano psicopatologico, la ripetitività con cui queste immagini emergono in modo del tutto spontaneo e in situazione ove c’è un “abbaissement du niveau mental” o un momentaneo crepuscolo della coscienza, caratterizzato da una fragilità psichica, va letta come una forma di tentativo di guarigione, che noi umani, in modo del tutto naturale, mettiamo in campo, insomma un qualcosa di non cosciente ma, che è paragonabile all’istinto (impulso) di sopravvivenza.

Ecco che l’archetipo, quello che tende alla individuazione, integra le pulsioni (istinto) che provengono dall’inconscio con la coscienza.

Una funzione che trascende i due locus, inconciliabili separatamente, ma che attraverso l’intermediazione (in questo caso la spontanea rappresentazione di figure mandaliche), induce ad una sintesi, finalmente comprensibile da entrambi (coscienza e inconscio).

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