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Nessuno mi vuole bene

nessuno mi vuole bene
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Perchè nessuno mi vuole bene

Perchè nessuno mi vuole bene, finalmente me ne rendo conto. Tra me e gli altri c’è un abisso incolmabile. Sono vivo eppure sono come morto. Questa ferita resterà sempre aperta e finchè vivrò continuerà a sanguinare.

Ma perché? Perché questa inquietudine non si placa, perché vago tra una spiegazione insufficiente, alla disperata ricerca di un’altra, altrettanto scarna. Di fatto, alla fin fine, si giunge alla stessa e desolante constatazione: nessuno mi ha amato. Nessuno mi amerà. Punto.

Questa desolante visione del proprio vissuto, vale per chi non è stato amato ma anche per chi lo è stato troppo, o nel modo sbagliato o con sufficienza.

Due sono le grandi gioie nella vita d’amore di un uomo: la prima, quando per la prima volta può dire “amo” – l’altra ancora più grande, quando può dire “sono amato”.
Carlo Dossi, Note azzurre, 1870/1907 (postumo 1912/64)

Le persone che hanno una scarsa autostima oppure poca fiducia in se stessi hanno questo tipo di ferita

Lo studio dell’analista deve essere il luogo ove vengono conciliati e associati due aspetti importanti del vivere: il mondo interiore (mancanza d’amore, ad esempio) ma anche quello esteriore legato al rispetto delle regole che attiene al vivere sociale. 

Ecco che in tal modo o forse solo in tal modo, tutto il rifiuto percepito (dal mondo interiore ed esteriore) può trovare nuovi spazi e nuove modalità espressive.

Quando il nostro inconscio ci parla,  spesso ci domina e la coscienza, ovvero i nostri propositi, vacillano, e si prova lo stesso disagio di quando non riusciamo a mantenere lo sguardo. I bambini che non sono stati amati fanno fatica, da adulti, ad amarsi sotto lo sguardo dell’altro.

In questo contesto, anche se è amato, se non addirittura amatissimo, lui paradossalmente non lo sente, non lo percepisce.

Molte coppie che vedono fallire la loro relazione si trovano a sperimentare lo stesso senso di perdita provato nell’infanzia; in questo caso,  non viene da pensare che ciò che sta accadendo sia già stato vissuto molto tempo prima e si sta ‘richiamando’ quella sofferenza? 

Quanto mi amo

Perchè nessuno mi vuole bene lo dice chi non è stato amato dal momento che solo chi è stato amato, si ama.

La mancanza di amore è fondante per l’Ombra; le nostra zone grigie equivalgono alla minor conoscenza di noi. Chi non è stato amato si sente rifiutato o almeno vive questa sensazione.

Il contesto è apparentemente semplice. Ci sono due estremi che si toccano e cioè:

  • Quella che viene chiamata ‘ferita narcisistica ovvero il trauma che si ha (o si crede di avere); nella fattispecie, il trauma è l’intima convinzione che da piccoli non siamo stati amati.
  • L’altro, è invece rappresentato dal disperato bisogno dell’Io di essere amato. Quella disperazione che porta a dire: “io non ce ‘l’ho (l’amore) ma da qualche parte deve pur esserci”.

Quindi abbiamo un si e un no. Una difficile convivenza. Alle volte prevale l’uno (no, nessuno mi ama); alle volte l’altro (eppure si vorrei e da qualche parte c’è).

Un gioco infinito che va spezzato;  che è vissuto solo da chi, da bambino, ha provato la frustrazione della mancanza d’amore. 

Poiché c’è il rischio che si innesti il modello di comunicazione passiva (non ho amore, allora ne do tanto) cioè quello di ‘zerbinarsi’, prostarsi, umiliarsi, insomma tutti quei comportamenti (non necessariamente evidenti e plateali) che portano inevitabilmente a tradire e al venir meno del rispetto per se stessi.

Quando si raggiunge alla consapevolezza di essere prigionieri di questo meccanismo, ecco che nasce il desiderio di rivivere e superare i traumi infantili e cercare così di ritrovare il sentiero perduto e realizzare le proprie potenzialità.

Se ci lasciamo ispirare dalla religione, notiamo che il cristianesimo e il buddismo propongono la ricerca dell’indipendenza, indipendentemente dal fatto di essere amati. 

Quindi occorre smettere di percepirsi come vittima e reagire, liberarsi e trasformarsi in un soggetto pieno di vitalità. Il passato non si minimizza, c’è stato ed ha prodotto le sue ferite, ma poiché si vive nel presente è necessario stimolarsi ed agire.

Questo discorso ne  introduce altri come ad esempio la differenza tra il lutto e la depressione.

Nel primo caso, una persona viene a mancare e il mondo ne soffre, si impoverisce; mentre nella depressione si impoverisce l’Io del soggetto.

Nel primo caso si affronta concretamente il fatto e si elabora la perdita reale. Nel secondo, invece si perde il soggetto stesso. La ferita è sempre aperta  e l’Io viene svuotato continuamente.  

Amare significa affidarsi completamente, incondizionatamente, nella speranza che il nostro amore desterà amore nella persona amata. Amare è un atto di fede, e chiunque abbia poca fede avrà anche poco amore.
Erich Fromm, L’arte di amare, 1956

Verbalizzare il dolore

Chi si è sentito non amato, porta delle ferite che sono senza parole.

Infatti non riesce a guarire perché non trova le parole necessarie per descrivere il dolore che prova. Ciò che diviene facile è il racconto dei loro abbandoni, allontanamenti, incomprensioni  e si riferiscono tutti a periodi in cui si era in grado di percepire la sofferenza.

Quando questa situazione di mancanza di amore è stata invece vissuta nel periodo neonatale, cioè nei primi mesi di vita, ci si trova, anche da adulti, nell’incapacità di verbalizzare tale dolore.

Ecco perché, spesso, nel corso della psicoterapia, non si riesce a verbalizzare la sofferenza e le analisi sono lunghissime e spesso costellate da interruzioni, prima di riuscire, finalmente, a comunicare la sofferenza.

Non si riesce a ‘cogliere’ il punto perché mancano le parole per dirlo, perché quando la ferita ebbe luogo non si era in grado di verbalizzare.

Insomma, se il bimbo cresce in un ambiente affettuoso e stimolante, da adulto ha maggiori chance di essere in grado di instaurare rapporti di coppia stabili e duraturi.

Una volta ritrovata la radice della ferita, diviene possibile andare finalmente oltre e ritrovare ciò che è mancato: amore, comprensione, certezze, stima, affidamento etc.  Finalmente può donarsi, ciò che l’ambiente famigliare ha negato.

Chi invece non riesce in questa impresa, cioè chi non riesce a sbloccare questo dolore, sperimenterà che il dolore stesso è distruttivo. Per liberarlo, bisogna avere il coraggio di mostrarsi, confrontarsi, raccontarsi.

In sintesi, non è mai l’amore di un altro che ci guarisce, ma solo l’amore che finalmente decidiamo di dare a noi stessi.

Per una lettura ovviamente più esaustiva suggerisco il testo che segue

La ferita dei non amati –  Schellenbaum Peter

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