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Come vincere la solitudine

Il sentimento di solitudine come disagio interiore
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Foto di Comfreak da Pixabay

Come vincere la solitudine

Come vincere la solitudine. Il sentimento di solitudine come disagio interiore, ci evidenzia che la solitudine è una condizione umana che genera stati emotivi che possono essere anche molto dolorosi e forse anche il più doloroso che l’uomo sperimenta nel corso della propria vita.

Pensando all’angoscia della morte, potremmo erroneamente dissentire, ma così non è, dal momento che la presenza dell’angoscia, spinge l’uomo all’azione e quindi ad attivare, anche se in minima parte, la residua azione della pulsione di vita. Insomma, è indubbio che nasciamo soli e veniamo espulsi dal tutto. 

Solitudine e attaccamento

Il sentimento di solitudine come disagio interiore. Chi tende alla solitudine ha sperimentato, nella prime fasi dello sviluppo psico-sessuale, una sorta di regressione narcisistica come conseguenza di traumi precoci;  si prenda ad esempio la presenza della figura di attaccamento, percepita però come falsa presenza.  

Viviamo in una strana epoca; un’epoca in cui la solitudine si associa all’isolamento e chi si isola è visto come incerto, indeciso, sconfitto.

Tutto questo anche se in fondo sappiamo che il nostro equilibrio  (se lo abbiamo), fatto di famiglia, amici, lavoro, è in continuo divenire.

Ad esempio spesso confondiamo l’attaccamento verso una persona con l’amore, ma se poi qualcosa comincia a non andare per il verso giusto, si entra in ansia o ci spaventiamo, perché vediamo davanti a noi solitudine e desolazione.

Quante persone, alla fine di una storia, decidono di mettersi ‘a maggese’, cioè di smettere di cercare/rendersi disponibili un nuovo partner, per un tempo indefinito?

L’utilità della solitudine

Quando si è soli si ha la possibilità, finalmente, di percepire la forza e la bellezza che può essere insita nella solitudine.

Si, perché ‘star solo’ non deve essere necessariamente declinato con: ‘mi manca questo o quello’ bensì con un senso di completezza, di pienezza ove ritroviamo (o che possiamo ritrovare), la vera essenza di noi; questo è il momento in cui si percepisce maggiormente lo stato di calma e di serenità (assenza di tensioni) che ci fa dire: ‘sto proprio bene’.

Solo in questo stato, si sente il reale desiderio di creare relazioni (networking) con amici e con il partner.

Il legame che si crea, ci porta ad una relazione che non è banalmente riconducibile alla ricerca di un ‘rifugio’ oppure di un ‘appoggio’ o, peggio ancora, ad una spalla dove trovare consolazione.

Quando stiamo con i nostri pensieri (quasi sempre negativi, quindi inutili e quasi sempre dannosi) non siamo nello stato descritto sopra.

Per poter vivere in una dialettica privilegiata con noi stessi, i ‘pensieri’ di cui sopra, devono essere eliminati anche se, stando nello stato di benessere, in genere, non rappresenta nessuno sforzo.

E’ un po’ come quando non vediamo l’ora di tornare a casa, metterci sul divano e riprendere quella fantastica lettura interrotta la sera prima.

Il nostro cervello non ha bisogno dei ‘pensieri’ citati prima, perché vengono percepiti come veleno. Il nostro apparato psichico ha bisogno invece di farsi abbracciare dal silenzio, per poi lasciarsi andare in una ‘undiscovery region’ dove, ad esempio chi medita, lo percepisce come l’alfa e l’omega della contemplazione.

Ma, verrebbe da chiedere: come si fa? Ognuno deve trovare il suo percorso, il suo metodo, da solo oppure con l’aiuto di un professionista. Ma in extrema ratio avviene tutte le volte che facciamo un’attività (sportiva, artistica, lavorativa, etc), che amiamo e che quindi ci ‘rapisce’ e dove tutto sembra semplicemente perfetto.

Mentre la ‘noia’ porta i bambini a scoprire la fantasia e la creatività, gli adulti hanno la possibilità di sperimentare che, di tanto in tanto, star soli può essere piacevole; la ‘piacevolezza’ sta nel fatto che in questo stato, possiamo ragionare, riflettere, trovare soluzioni.

Quando invece (sia per adulti che bambini) si supera quella sottile linea rossa, questa ‘ritirata’ diviene eccessiva e pericolosa anche perché spesso viene usata come ‘difesa’ da un mondo (relazionale) percepito come pauroso o ingannevole.

Lo spazio nella coppia

Per ‘vincere la solitudine’ molti cercano una relazione di coppia. Una relazione che espone i due soggetti a rischi elevatissimi (qualcuno ci muore anche ammazzato). Una volta instaurata, la coppia potrebbe anche frantumarsi (un tradimento, una malattia, un abbandono, etc).

Ecco che allora, compare un dolore profondo e si ha la netta sensazione di essere soli. La morale (ammettendo ce ne sia una) è che non dobbiamo vedere l’altro come una stampella.

Vivere in una relazione a due è un’altra cosa, diversa dalla funzione della stampella. La coppia è un incontro tra due universi (purchè ognuno lo abbia costruito, il proprio universo).

La coppia non esclude la presenza di un reciproco spazio che può anche essere esclusivo e che offra quindi la  possibilità di muoversi in autonomia.

Non farlo, quindi chiudendo e racchiudendo la coppia in uno spazio unico e indissolubile potrebbe portare alla sofferenza. Insomma la propria interiorità non dovrebbe mai essere sacrificata.

Artisti e poeti antichi e moderni hanno sempre sostenuto queste tesi.

“La solitudine è per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo” Seneca

“… bisogna essere molto forti per amare la solitudine” P.P.Pasolini

Inutile ribadire la differenza che intercorre tra: sentirsi soli ed essere soli. Allo stesso modo possiamo dire che non c’è somiglianza tra essere depressi ed essere in solitudine.

Mentre da una parte ci isoliamo per ricaricarci oppure semplicemente per riposarci in buona compagnia (con noi stessi), dall’altra ci troviamo a constatare, né più né meno, che siamo in una forma più o meno grave di psicopatologia.

Chi si sente solo o chi ha deciso di isolarsi lo fa spesso sulla base di sensazioni di inadeguatezza (nessuno mi vuole, a chi posso interessare, inutile che chiamo Tizio, lo disturberei soltanto, etc).

Queste persone tendono a non chiedere nessun tipo di aiuto, anzi, spavaldamente dichiarano pure di stare benissimo. Insomma, non hanno nessun problema. Ma tutti sappiamo la verità: mentono!

Come se ne esce

Ammettendo il proprio problema! Cominciando finalmente a fare quello che non si è fatto ovvero tessendo una rete intorno a se fatta di amici, attività di svago (sport, mostre, cinema, teatro, etc), lavoro.

Tutto comincia alzando il telefono. Gli obiettivi devono essere a brevissimo tempo e ovviamente raggiungibili cioè alla propria portata altrimenti si chiamerebbero in modo diverso: sogni.

Ma qual è la natura della solitudine?

Ci tocca tutti e si radica profondamente, non si può eliminare e ci accompagna fino all’ultimo dei nostri giorni (recente la storia di un professore inglese, trapiantato in Italia e quindi senza parenti, che è stato lasciato morire solo, anche se i suoi studenti si sarebbero presi cura di lui molto volentieri, ma che per motivi di privacy, l’ospedale ha negato ogni visita perché era concessa solo ai parenti).

Tutti abbiamo provato la solitudine allo stesso modo: nascendo. Nascendo ci siamo separati per sempre dal grembo materno e da quella pienezza, abbiamo dolorosamente sperimentato cosa vuol dire essere soli.

Un po’, forse come è accaduto ad Adamo ed Eva, cacciati dal paradiso terreste e condannati ad una vita di privazioni e di sofferenze.

Quindi, in sintesi, esser soli, non vuol necessariamente dire che non abbiamo nessuno intorno ma, semplicemente evidenzia l’incapacità di comunicare cose a nostro avviso importanti, oppure dar credito e quindi valore a tutti quei pensieri visti come inaccettabili dagli altri.

 

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